«In Busa con la maglia granata del San Zeno è partita la mia carriera di calciatore professionista”
Con oggi parte una simpatica rubrica dedicata a quei giocatori che hanno legato in qualche modo la propria carriera alla gloriosa maglia granata. Il primo di questa lunga serie è Riccardo Cazzola, veronese doc, nato nella città di Giulietta e Romeo il 5 ottobre del 1985. Dopo aver condiviso l’esperienza nelle giovanili dell’Hellas Verona insieme a un certo Riccardo Meggiorini, approda al San Zeno, una delle società più conosciute del panorama dilettantistico veronese. La maglia granata diventa per lui una seconda grande opportunità che non si lascia questa volta sfuggire, visto che in poco tempo si trova “catapultato” dalla prima categoria alla serie A con il Perugia. La società umbra diventa per Riccardo un grande trampolino di lancio che lo ha portato nel corso della sua carriera a vestire altre casacche prestigiose come quelle, tra le altre, della Juve Stabia, del Cesena e dell’Atalanta. Ora, alla soglia dei 35 anni, messo alle spalle un fastidioso infortunio muscolare, sta vivendo una seconda giovinezza con la Virtus Verona di Gigi Fresco. In questo momento di inatteso stop per l’emergenza coronavirus abbiamo raccolto le sue impressioni e qualche curioso fermo immagine del suo passato.
Il San Zeno, dove eri tornato dopo l’esperienza nelle giovanili del Verona, ti ha regalato l’occasione di entrare nel mondo del professionismo dalla porta principale. «Rispolvero con grande piacere il ricordo che ho del San Zeno. Nella società granata ho vissuto un’esperienza bella e soprattutto gratificante. Finita l’avventura con l’Hellas, dove durante la stagione avevo intuito l’eventualità di possibile “taglio”, ho affrontato la nuova esperienza con lo spirito giusto, mettendo davanti la passione per il gioco del calcio, in un ambiente che ha sempre privilegiato il divertimento dei propri ragazzi». All’improvviso, poi, è arrivato il Perugia. «Ricordo che il presidente Casale, tramite un osservatore del luogo, mi diede l’opportunità di fare un provino per il Perugia. Fu lo stesso presidente ad accompagnarmi in macchina fino al campo di allenamento. Arrivato in Umbria giocai un tempo nella consueta amichevole del giovedì tra prima squadra e formazione Primavera. Al termine, poi, arrivò la notizia che il Perugia mi avrebbe preso. La sorpresa più grande – precisa – fu, tuttavia, che non sarei stato inserito nella formazione Primavera, che per me sarebbe stato già un sogno, ma addirittura con la prima squadra con gente del calibro di Fabrizio Miccoli e Fabio Liverani. Fu proprio Serse Cosmi, l’allenatore di allora, a volermi sin da subito. Pensate che dopo qualche mese, finita la scuola, sono partito in ritiro con loro per la preparazione in vista dell’Intertoto. In una settimana dalla Prima Categoria alla serie A. Il sogno di ogni bambino che si avvera!».
La tua è stata fino a ora una carriera importante, che qualche anno fa sembrava essere arrivata al capolinea. Ero ad Alessandra in serie C dove ero anche capitano, reduce da sette mesi di inattività per fastidiosi problemi muscolari ai polpacci. Soprattutto per onestà anche nei confronti della società, scelsi la rescissione consensuale del contratto. Tornato a Bergamo, dove nel frattempo avevo preso casa, avevo addirittura maturato l’idea di smettere con il calcio giocato». E invece… «Invece arrivò una telefonata di Gigi Fresco che iniziò a propormi con ostinata insistenza l’idea della Virtus. All’inizio ero molto scettico ma grazie a un responso medico scoprii che l’infortunio era superato. A quel punto Gigi tornò prepotentemente alla carica e dopo alcuni giorni di prova decisi di ripartire. Una scelta che alla fine si è dimostrata essere quella giusta».
Nella sede della Virtus, trovasti una graditissima sorpresa. «Vero. Entrato in sede, tra le tante foto ne vidi una che mi ritraeva premiato con miglior giocatore del torneo “F.lli Giacomi” che avevo vinto molti anni prima proprio con la maglia del San Zeno. Ironia della sorte chi mi premiava era proprio Gigi Fresco». Un cerchio che si chiude. «Infatti, ho pensato proprio a questo. La foto, inoltre, mi ha fatto tornare a quella sera quando lo speaker durante la mia premiazione annunciò ai presenti la mia partenza da lì a qualche giorno per Perugia. Che ricordi indelebili…».
Visto che parliamo di ricordi, ne esiste uno più bello degli altri nella tua vita fino a ora di calciatore. «Sicuramente la promozione in serie B con la Juve Stabia. Fu una cavalcata incredibile che ancora oggi nessuno ha più dimenticato. A Castellammare, inoltre, i tifosi si ricordano ancora oggi anche di me e io conservo un forte legame di affetto con loro». L’allenatore che ha inciso di più su di te «Sicuramente Piero Braglia quando ero alla Juve Stabia, un tecnico che poteva sembrare difficile e scorbutico ma che grazie alla sua sana ossessione per il gioco del calcio mi ha trasmesso la giusta mentalità, quella di non accontentarsi mai e di cercare sempre di migliorarsi. Per certi versi mi ha ricordato mio padre che mi ha sempre raccomandato di divertirmi ma di faticare perché senza la fatica non si raggiungono le soddisfazioni. La passione e il divertimento da soli non bastano per superare i propri limiti. Un insegnamento che mi è stato utile anche nella vita di tutti i giorni. Posso dire nel mio caso di aver avuto la grande fortuna di trovare l’allenatore giusto, al momento giusto, nel posto giusto. Meglio di così…».
Una volta smesso con il calcio giocato cosa ti piacerebbe fare ? «Se il fisico mi sostiene conto di fare ancora qualche stagione. In futuro non mi vedo dietro una scrivania e nemmeno ad allenare i grandi. La mia ambizione è quella di allenare i bambini. Ho già fatto qualcosa a Bergamo durante il mio periodo di inattività tuttavia mi piacerebbe un giorno farlo con continuità. L’allenatore deve essere un esempio per i ragazzi, con l’obiettivo di insegnare loro che il calcio richiede impegno e sacrificio ma mettendo sempre davanti il divertimento».
Come ti immagini il giorno del tuo addio al calcio? Potrebbe esserci lo spazio per tornare a scendere un’ultima volta i fatidici 28 scalini della “Busa”? «Difficile dirlo, in questo momento finchè la testa e il fisico mi sostengono, vado avanti e non ci penso. Il mio motto, del resto, è sempre stato quello di dare tutto, sia in allenamento che in partita, l’unica maniera per essere in pace con me stesso, sapendo di aver fatto il massimo fino in fondo. Sono conscio, tuttavia, che un giorno arriverà come per tutti il momento di fermarsi. Pensandoci, mi piacerebbe cogliere l’occasione per organizzare una festa con tutti i compagni della Juve Stabia. Castellammare è un posto dove ho lasciato un pezzo del mio cuore. Poi, forse, mi stabilirò in Sardegna con la mia famiglia, esaudendo anche il desiderio di mia moglie di tornare nella magnifica terra dove è nata».
Autore: Enrico Brigi - IG @enrico.brigi - email: enrico.brigi@gmail.com